29 Aprile 2014

La fabbrica della speranza di Lavanya Sankaran

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Ed era quello, in definitiva, che parlava alle profondità della sua anima: il desiderio di appartenere a un popolo che tornasse a rivendicare la propria capacità di costruire cose di grande bellezza, forma e scopo. Che cercasse la perfezione. Che sapesse cosa significa sgobbare, plasmare, realizzare cose che contenessero verità ed eccellenza e facessero rimanere a bocca aperta per la meraviglia chi le guardava.

Anand e Kamala vivono a Bangalore.
Anand è un industriale che sogna di lanciare la propria fabbrica sui mercati internazionali, e per farlo ha bisogno di attrarre investitori stranieri, in questo caso giapponesi, dimostrando di essere a capo di una ditta affidabile in grado di reggere il pieno sviluppo. Nel suo progetto di ascesa sociale ed economica Anand incappa in qualcosa che noi italiani conosciamo bene: personaggi dall’atteggiamento mafioso, intrecciati a livello politico ed economico, che tentano di cooptarlo e di intimidirlo e quasi ci riescono.
La vita di Kamala, che fa parte del personale domestico della villa di Anand, è molto più semplice e anche molto più complicata. È madre sola dell’adolescente Narayan, tanto sveglio e intelligente quanto portato a scegliersi gli amici sbagliati. Il sogno di Kamala è quello di mandare Narayan a scuola, e quindi risparmia quanto più possibile. La sua è una storia di rivincita sul proprio destino: rimasta vedova, Kamala è stata prima schiavizzata e poi scacciata dalla casa del marito, e si è trovata sola, con un bambino piccolissimo, con un’unica possibile occupazione in un cantiere edile. Lì lavora finché il piccolo Narayan non è abbastanza grande da consentirle di andare a lavorare come aiutante nel governo della casa di Anand, sotto i modi dittatoriali di parte del personale e lo sguardo distratto e niente affatto compassionevole della moglie di Anand.
Il romanzo dipinge una situazione sociale ed economica di povertà diffusa, ma anche di progresso tecnologico e industriale in continua evoluzione, e descrive con efficacia anche i cambiamenti dell’ambiente urbano (gli slum che scompaiono per lasciare il posto alla città, che si ingrandisce) e rurale (le campagne che vengono occupate dalle fabbriche in espansione).
L’atmosfera del libro è resa dal titolo: la speranza in un futuro migliore è una sensazione che pervade l’animo dei personaggi anche nelle circostanze più avverse.

Lavanya Sankaran è nata a Bangalore, nell’India del Sud; come molti altri giovani indiani che ne avevano la possibilità, ha completato i suoi studi negli Stati Uniti. Dopo aver lavorato per due anni in una banca d’affari a New York, ha deciso di tornare a Bangalore, città fantasmagorica dove tutto convive, cultura millenaria e globalizzazione sfrenata, ricchezza facile e destini di estrema povertà. Collabora con The Guardian e The New York Times.

Lavanya Sankaran, La fabbrica della speranza, pp. 430, € 17, Marcos y Marcos, 2014. Traduzione di Monica Capuani.

LA LIBRAIA

Malvina Cagna ha aperto la Trebisonda nel 2011.

Prima di fare la libraia si è occupata di ricerca, progettazione e organizzazione dello sviluppo locale.
Dal 2000 al 2003 ha diretto il festival San Salvario Mon Amour.

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